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L'Arte Marziale interiore.

Updated: Nov 19, 2021

Tutti gli stili delle Arti Marziali sono netti, lineari, puliti. Infatti sono Arte. È giusto e perfetto che così sia. La realtà del combattimento è differente.


Quello che cambia tutto, nella realtà, sono le emozioni. Alla fine della storia, è con le emozioni che ci confrontiamo, studiando un'Arte Marziale. Qualunque essa sia, ognuno secondo le proprie possibilità e capacità o sensibilità personale.


Prima di tutto, per imparare a prevenire, percependo il pericolo prima che le cose accadano. E quando accadono, non trovarsi lì.


Poi, per imparare ad accettare la situazione e come starci emotivamente se, nonostante tutto, capitiamo nel posto sbagliato al momento sbagliato.


E per interiorizzare qualche principio e strumento efficace su cui fare cieco affidamento per non essere colpiti, piuttosto che voler vincere.


Il nostro unico ostacolo e pericolo non è mai l'avversario, ma è il nostro sistema di credenze, la nostra reattività e suscettibilità inconsapevole, la nostra paura più profonda.

In poche parole, il nostro ego che si considera separato dal mondo. Solo l'ego può avere nemici. A volte li crea o li attira.


Ecco perché, per me, l'Arte Marziale nella sua essenza è "Karate Ni Sente Nashi"

traducibile letteralmente come: "Nel Karate non c'è il primo colpo", che sta a significare

che nel Karate non si prende l'iniziativa di attaccare, come recita il secondo dei 20 Precetti elencati nel Nijū Kun del M° Gichin Funakoshi, padre del Karate-Do Shotokan,

il portale da cui entrai nelle Arti Marziali 38 anni fa.


Ecco perché, per me, la migliore strategia è Go No Sen (partire dopo per arrivare prima), ovvero reagire solo dopo che l'avversario ha già iniziato l'attacco, modellando impersonalmente la risposta più funzionale, plasmandola sulla tecnica di attacco.


Ecco perché, per me, il miglior allenamento è Ritsu-Zen (accumulo del Qi e affinamento della percezione del Centro e dei flussi interni di energia, con il conseguente adattamento funzionale della struttura muscolo scheletrica nell'esecuzione delle tecniche).


Ecco perché, per me, tutto inizia e finisce con Mokuso, la meditazione, l'ascolto del silenzio impersonale da dove ogni ente o evento sorge e torna.


Infatti il quinto dei 20 precetti del M° Gichin Funakoshi, recita "Gijutsu Yori Shinjutsu"

(lo spirito viene prima della tecnica). D'altra parte l'obbiettivo funzionale dell'addestramento

è riuscire a tornare a quella capacità originaria e naturale, come si dice nel Tai Ji Quan

nella sua accezione più marziale, di saper "combattere istintivamente, come un animale." senza la quale ogni tecnica rimarrebbe vuota, fine a se stessa e inefficace.


Ma senza divenire preda delle trappole emotive dell'ego e capaci di trovare sempre la miglior via di uscita per noi e per il nostro avversario. Che è la versione speculare di noi stessi.


(Bruno Banone)


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Per maggior info sul M° Bruno Banone e sul Tai Ji Quan e Qi Gong:


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Photo by web: Gichin Funakoshi Sensei (1868 – 1957)


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